I primi coloni greci sbarcati sulle coste calabresi rimasero talmente impressionati dalla fertilità di questa terra ricca di vigneti che la chiamarono "Enotria" e cioè "terra dove si coltiva la vite alta da terra". Lo stesso antico nome della Calabria venne poi esteso a tutta l'Italia. Grande era anche il valore che gli antichi greci attribuivano ai vigneti calabresi: risulta infatti dalle tavole di Eraclea che un appezzamento di terra coltivata a vite valeva circa sei volte un campo coltivato a cereali. I contadini ellenici portarono con loro tecniche nuove di vinificazione e nuovi vigneti da impiantare: sono infatti di probabile origine greca alcuni tipi di vite ancora presenti sia sul suolo calabrese che anche in altre parti d'Italia e cioè il gaglioppo, il greco bianco e il mantonico, tanto per citarne solo alcuni. Alcune città assunsero un ruolo di primo piano nello sviluppo della coltivazione della vite: Sibari e Crotone si distinsero in maniera particolare dando origine alla produzione del "Krimisa" antenato dell'attuale Cirò. Fra l'altro Cremissa era anche il nome della colonia greca, sede di un imponente tempio dedicato a Bacco, situata più o meno dove oggi c'è Cirò Marina.
La produzione di vino aveva assunto una tale importanza nella zona che sembra addirittura che, per facilitare il carico delle navi che attendevano nel porto, fossera stati costruiti con tubi di terracotta dei veri e propri "enodotti" che partendo dalle colline circostanti la zona di Sibari arrivavano direttamente ai punti di imbarco facilitando in questo modo tutte le operazioni di trasporto. Inoltre il Cremissa era il "vino ufficiale delle Olimpiade" e probabilmente è stato il primo esempio di sponsor secondo l'attuale definizione. Lo stesso Milone di Crotone, vincitore di ben sei olimpiadi, pare fosse un grande estimatore di questo vino che per tradizione veniva offerto agli atleti che tornavano vincitori dalle gare olimpiche. La tradizione è stata riportata in auge, anche e sopratutto per rilanciare l'immagine del Cirò che si era andata un pò affuscando negli ultimi tempi, alle Olimpiade di Città del Messico nel 1968 dove tutti gli atleti partecipanti hanno avuto la possibilità di gustare il Cirò come vino ufficiale.
Spesso la decadenza di un popolo porta con sè la conseguente decadenza degli usi e costumi del popolo stesso. A questa ferrea regola non si è sottratto il vino calabrese; infatti con la decadenza della Magna Grecia la coltivazione della vite subì un notevole tracollo e perse tutta l'importanza che aveva raggiunto. Probabilmente, però, la fase di maggiore crisi, che allo stato attuale potremmo definire brillantemente superata, la viticoltura calabrese la subì nell'Ottocento quando l'arrivo della fillossera causò la decimazione dei vigneti e la quasi scomparsa delle coltivazioni. In questi ultimi anni il Cirò, sopratutto nella tipologia Rosso, sta riacquistando la sua antica grandezza anche per merito di numerose aziende che hanno saputo rinnovarsi, pur non rinnegando la tradizione, sia per quanto riguarda i vitigni veri e propri che per le tecniche di vinificazione. |